Non aveva altre alternative la 23enne se non abbandonare il figlio che non poteva di certo vivere da senzatetto come la sua mamma.
C’è tutto un mondo, e nemmeno neanche troppo sommerso, che ci sta accanto senza che noi ce ne accorgiamo. E’ il dramma delle persone più povere, di quelle che non hanno nemmeno un tetto sopra la testa e ridimensionano drasticamente la nostra idea di insoddisfazione e infelicità, finché possiamo maturare questi pensieri nel caldo confortante di casa nostra, lusso questo che non si può permettere la ragazza senzatetto di 23 anni che ha dovuto abbandonare il figlio appena nato per una vita migliore della sua.
Il bambino, nato prematuro il 2 dicembre all’ospedale di Melegnano di Milano, non ha ancora un nome ed è adottabile, la mamma infatti non l’ha riconosciuto. “Sapevo che non lo avrei tenuto. Come si fa a tenere un neonato in questa situazione?“, ha confessato la ragazza al ‘Corriere della Sera’ chiedendo di mantenere l’anonimato tanto per lei, quanto per il suo compagno di 29 anni.
Da aprile entrambi vivono nella stazione della metropolitana di San Donato con solo tre ombrelli, una coperta verde militare, dei cartoni e un carrello della spesa. Prima che scoppiasse la pandemia, i due ragazzi sono andati via da Cagliari e da allora non sono più tornati in Sardegna: “Non abbiamo documenti e quindi non possiamo fare niente”, spiegano. “Dovremmo andare a rifare tutto nel nostro Comune di residenza, ma chi ce li ha i soldi per andare fino in Sardegna? Qualcuno dice che mi pagherebbe il biglietto, ma io non credo che una persona normale poi ci paghi anche il ritorno e in Sardegna non ci vogliamo restare, perché lì non c’è proprio niente per noi”.
Prima di finire a Milano, però, i due ragazzi vivevano in Germania: “Michael lavorava come pizzaiolo dentro una fabbrica della Volkswagen, e io facevo lavoretti in nero, stavamo bene”, ma poi arriva il carcere. “Avevamo dei debiti, però lì in prigione ti danno tutto e pure un po’ di soldi” e così sono finiti a Milano da senzatetto, per non essere separati nei dormitori, dormono in metropolitana fino alle cinque di mattina, prima di essere cacciati, quando la città si sveglia e si mette implacabilmente in moto.
Passano le giornate entrambi raccattando qualche soldo in centro per poter comprare alcolici con cui riscaldarsi e dimenticarsi una vita che già a 23 anni sembra senza via d’uscita. “Vorrei un lavoro, ma chi se la prende una come me?”, ha aggiunto ancora la giovane amareggiata, ricordando un’esistenza già travagliata prima ancora di abbandonare suo figlio in ospedale.
“Ero seguita dai servizi psichiatrici in Sardegna. Ho fatto un’interruzione volontaria di gravidanza, firmò mia madre perché ero minorenne”, ha confessato. “E pure questa volta l’avrei fatta se mi fossi accorta di essere incinta, ma da tre anni non avevo più il ciclo, quindi proprio non mi sono resa conto”.
Articolo di Karola Sicali
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